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Il framing: tutto dipende dal modo di presentare le cose

Tempo di lettura 7 minuti

Quale di questi due segmenti è più lungo? Se si prende un decimetro e li si misura, si scopre che hanno esattamente la stessa lunghezza.

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Si tratta di una delle più famose illusioni ottiche, proposta inizialmente da Franz Karl Muller-Lyer, e studiata a lungo dagli psicologi della percezione, per comprendere quali fossero i fattori che determinano un risultato percettivo così forte (la maggior parte delle persone, infatti, sostiene che il segmento B è più lungo). Inoltre, questa illusione testimonia che ciò che vediamo può essere una distorsione rispetto al dato fisico, che pure ha un’importanza fondamentale nel determinare ciò che in effetti percepiamo.

Fenomeni simili si possono incontrare anche in altri ambiti: ad esempio, nel campo della decisione umana si verificano fenomeni che possono essere assimilati a vere e proprie illusioni cognitive. Così, in certe situazioni decisionali pensiamo che un’alternativa debba essere scelta perché abbiamo l’impressione che sia quella che ci permette di portarci a casa l’esito migliore. In realtà, la nostra scelta è il risultato (o il parziale condizionamento) del modo in cui le cose ci sono state presentate, o del modo in cui noi ce le siamo rappresentate.

Un esempio letterario di quello che accade nella vita di tutti i giorni e che può essere ascritto a come le cose ci sono presentate, lo troviamo in Mark Twain. Ricordate “Le avventure di Tom Sawyer“? Zia Polly aveva deciso di punire Tom per una delle sue tante birichinate, costringendolo a dipingere, in un giorno di festa, la staccionata della fattoria in cui vivevano. Tom aveva cercato di schivare il compito persuadendo Gim (il servitore della casa) ad accettare uno scambio di occupazioni: Gim avrebbe dipinto la staccionata e Tom sarebbe andato al suo posto a prendere l’acqua alla fonte. Il negoziato però era fallito, malgrado Tom avesse aggiunto all’offerta anche la cessione di alcune palline di vetro…

Quindi troviamo Tom intento a dipingere la staccionata. Ben Rogers (proprio uno degli amici di cui Tom più teme lo scherno) passa di lì per caso e in modo spontaneo chiede a Tom di poter pitturare anche lui.

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L’episodio è un capolavoro e merita di essere riportato per esteso:

Ben disse: «Ciao, vecchio; devi sgobbare, eh?»

«Ah, sei tu, Ben! Non me n’ero accorto.»

«Di’, io vado a fare il bagno. Non ci verresti anche tu? Ma certo, tu preferisci lavorare, no? Si capisce!»

Tom fissò il ragazzo per un attimo e disse: «Cos’è il lavoro, secondo te?»

«Be’, quello lì non è un lavoro?»

Tom prima riprese a verniciare, poi rispose con aria indifferente: «Be’, forse sì e forse no. Tutto quello che so io è che a Tom Sawyer gli sta bene.»

«Oh, su, dai, non vorrai farmi credere che ti piace!» Il pennello continuava ad andare avanti e indietro.

«Se mi piace? Be’, non vedo perché non dovrebbe piacermi. Non capita tutti i giorni l’occasione d’imbiancare uno steccato.»

Questo mise l’intera faccenda in una luce nuova. Ben cessò di mangiucchiare la sua mela. Tom passò delicatamente il pennello sulle tavole, fece un passo indietro per osservare l’effetto, aggiunse un tocco qui e uno là, studiò nuovamente l’effetto, mentre Ben seguiva ogni sua mossa; il suo interesse cresceva sempre più, di pari passo con l’attrazione che quel lavoro esercitava su di lui. Finalmente disse:

«Di’, Tom, fa’ imbiancare un pochino pure a me.»

Tom rifletté; stava per acconsentire; ma poi cambiò idea: «No, no; non credo che sarebbe opportuno, Ben. Vedi, zia Polly ci tiene moltissimo a questo steccato: proprio qui sulla strada, capisci? Ma se fosse quello dietro mi starebbe bene, e lei non ci baderebbe. Sì, ci tiene moltissimo a questo steccato; bisogna pitturarlo con molta cura; non c’è un ragazzo su mille, forse su duemila, secondo me, capace di farlo come si deve.»

«No… Davvero? Oh, su, dai; fammi provare, solo un pezzettino. Io ti farei provare, Tom, se fossi in te.»

«Ben, io lo farei, ti giuro; ma zia Polly… Guarda, voleva farlo Jim, ma lei non gli ha dato il permesso. Voleva farlo Sid, ma lei non ha voluto. Ecco, vedi in quale situazione mi trovo? Se dovessi farlo tu, e gli capitasse qualcosa…»

«Oh, uffa! Starò attento come te. Ora fammi provare. Senti… Ti do il torsolo della mia mela.».

«Beh, ecco. No, Ben; non posso; non me la sento…»

«Te la do tutta!»

Cos’è accaduto? Semplicemente, Tom ha rappresentato quella fatica come un compito di fiducia, una prova di talento e anche un’occasione di divertimento che raramente può capitare a un ragazzo.

Rispetto al momento iniziale non è cambiato nulla: pitturare la staccionata era un lavoro faticoso e tale è rimasto anche quando Ben ha chiesto di poterlo fare. Quello che è cambiato è il modo in cui Tom ha presentato a Ben quell’attività: un’attività piacevole che può destare invidia in chi non può permettersi di svolgerla! E ci è riuscito talmente bene che, man mano, a Ben si sono aggiunti altri ragazzi che hanno chiesto di fare il lavoro e che hanno pagato per farlo: chi con un aquilone, chi con delle biglie, chi con un topo morto e uno spago, chi con un soldatino, chi con una coppia di girini… Tre mani di vernice furono date a quella staccionata, mentre Tom se la rideva e si riposava! Così commenta l’episodio l’autore, con l’ironia e l’acume che lo distinguono:

Tom si disse che il mondo non era poi così brutto. Senza saperlo, aveva scoperto una delle grandi leggi che governano le azioni degli uomini, e cioè che per indurre un uomo o un ragazzo a desiderare ardentemente una cosa basta rendere quella cosa difficile da ottenere. Se fosse stato un filosofo, grande e saggio, come l’autore di questo libro, a questo punto avrebbe compreso che il lavoro consiste di tutto ciò che uno è costretto a fare, e che il gioco consiste di tutto ciò che uno non è costretto a fare. E questo lo aiuterebbe a capire perché confezionare fiori artificiali o far girare una macina da mulino è un lavoro, mentre buttar giù dei birilli o scalare il Monte Bianco è solo un divertimento. In Inghilterra ci sono dei ricchi signori che d’estate guidano ogni giorno dei tiri a quattro per venti o trenta miglia perché questo privilegio costa loro considerevoli somme di denaro; ma se qualcuno si offrisse di pagarli per svolgere un servizio di tal fatta il passatempo si trasformerebbe in un lavoro, e questo li indurrebbe a rinunciarvi subito.

Quello che Tom ha realizzato è un capolavoro di incorniciamento.

Tversky e Kahnemann hanno presentato e discusso il fenomeno in un lavoro che ormai si considera un “classico” (Judgment under uncertainty: Heuristics and blades, 1982). In questo lavoro i due studiosi hanno introdotto il concetto appunto di framing – incorniciamento – per esaminare come questo influenza la decisione e per sottolineare l’importanza che la strutturazione di un problema gioca nel determinare la scelta. L’esperimento classico sul tema, del 1981, di Kahneman e Tversky era questo: i due ricercatori avevano due campioni di soggetti.

Al primo campione dicevano:

Immaginate che gli Usa si stiano preparando ad affrontare una malattia asiatica di eccezionale gravità, che dovrebbe causare la morte di 600 persone. Per fronteggiare l’evento sono proposti 2 programmi alternativi. Assumete che l’esatta stima scientifica delle conseguenze dei due programmi sia la seguente:

  • se si adotta il programma A, saranno salvate 200 persone;
  • se si adotta il programma B, c’è 1/3 di probabilità che 600 persone siano salvate e 2/3 di probabilità che non si salvi nessuno.

Quale dei due programmi favorireste?

(Il 72% dei soggetti utilizzati nella prova sceglieva il programma A, manifestando una chiara preferenza per l’opzione con l’esito sicuro).

Al secondo campione veniva presentato lo stesso problema, ma con una diversa formulazione dei programmi d’intervento:

  • se si adotta il programma C, 400 persone moriranno;
  • se si adotta il programma D, c’è 1/3 di probabilità che nessuno muoia e 2/3 di probabilità che muoiano 600 persone.

Quale dei due programmi favorireste?

(Il 78% del campione sceglieva il programma D, ritenendo meno accettabile la morte certa di 400 persone rispetto alla morte probabile di tutte le 600 persone, anche se la probabilità dell’evento infauso era molto elevata).

In realtà, i piani terapeutici A e C sono identici, e così pure B e D, ma il frame è diverso e la modalità in cui il problema è posto (incorniciato) induce a preferenze diverse.

Dire di avere un successo del 90 per cento, è molto meglio di dire di avere un fallimento del 10 per cento, anche se, dal punto di vista matematico, le due formulazioni sono analoghe.

In sostanza, si tratta di un’illusione cognitiva in forza della quale gli stessi oggetti di valutazione appaiono differenti a seconda della prospettiva dalla quale li si guarda (la metafora del bicchiere mezzo pieno/mezzo vuoto si adatta bene a questo caso).

La ricerca sperimentale ha mostrato come in questa illusione possono cadere anche persone esperte e professionisti come i medici ma, soprattutto, l’illusione è spesso utilizzata dai giornalisti o dai politici per esercitare qualche influenza sull’opinione pubblica. Una quindicina d’anni fa la Francia fu colpita in modo catastrofico da violenti nubifragi. Furono calcolati i danni e poi s’innescò la classica diatriba su ciò che si sarebbe potuto fare e non si era fatto.

Per calmare le polemiche, la stampa vicina al governo cosa fece? Non negò che si sarebbe potuto fare di più, ma pose la questione proprio nei termini del bicchiere mezzo pieno: le centinaia di milioni di franchi che dovevano essere spesi per ricostruire le zone disastrate avrebbero contribuito, per lo meno, a ridurre per parecchio tempo la disoccupazione.

Il confezionamento, il modo in cui la situazione è “infiocchettata” influisce in seguito sulle scelte e sulla giustificazione che sarà data a quelle scelte. Per questo il marketing suggerisce sempre un guadagno, anziché una perdita (o fa leva sulla paura della perdita). I rivenditori di automobili lo sanno bene. Pensiamo a quella promessa così allettante: “E sarete liberi di restituirla”. Non è che siamo liberi: stiamo acquistando una macchina, di cui entriamo in possesso, ma che non diventa realmente nostra, perché il perfezionamento dell’acquisto prevede un saldo dopo un certo periodo di tempo. Ma è molto più bello sentirci liberi di restituire l’auto che abbiamo pagato sino a quel momento.

By Federica Trevisanello

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