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Content Marketing, la vera fabbrica dei clienti

Tempo di lettura 8 minuti

Content marketing is KingIl Content Marketing è un’attività di acquisizione lead e clienti attraverso la pubblicazione di contenuto, sia esso testuale o di qualunque altra tipologia. Tale contenuto può trasferire agli utenti informazioni sotto forma di news, video, white paper, e-book, infografiche, case study, guide, FAQ, foto, etc.

A dispetto dell’assonanza, esso non ha nulla a che vedere con la vecchia pratica dell’Article Marketing, che per un certo periodo ha “infestato” blog e siti con contenuti fotocopia, di pessima qualità e dall’evidente natura di “marketta”, che il pubblico finiva per snobbare e i motori di ricerca, giustamente, consideravano spam.

Quando parliamo di Content Marketing, invece, parliamo di contenuti di qualità, destinati a fornire agli utenti informazioni utili e spunti davvero interessanti. Parliamo di contenuti in grado di offrire un servizio ai lettori, di aiutarli a risolvere un problema, ad organizzare un viaggio, a districarsi nella burocrazia, a comprendere i fondamentali di una materia, etc.

E parliamo di contenuti unici, confezionati su misura e in funzione del media e del canale che li dovrà distribuire e in target con quegli utenti, con i loro interessi, con il tono di voce e con lo stile cui essi sono abituati. Perché il Content Marketing funziona solamente se è prodotto in modo sartoriale e se è basato su una precisa strategia di raggiungimento del target attraverso la ricerca e la cura di precise “sacche” di audience.

Non si tratta, dunque, di un’attività di tipo industriale, che sforna contenuti in catena di montaggio e che li va a distribuire sul mercato con logiche di tipo pervasivo, ma di un’attività di tipo strategico, fulcro e motore della strategia di webmarketing che si sta perseguendo sui propri canali e su media e canali terzi.

Inbound Marketing

Il Content Marketing è alla base dell’Inbound marketing, definizione che racchiude in sé tutte le attività di marketing tese ad attrarre audience con la calamita dei buoni contenuti e del servizio agli utenti, anziché con pubblicità a pagamento, che li cattura senza il loro permesso e senza la loro complicità.

permission-marketing-seth-godinNon a caso Seth Godin, imprenditore, autore e speaker americano, utilizza questo termine nel suo libro del 1999 “Permission Marketing: turning strangers into friends, and friends into customers”. Godin parla esplicitamente di Permission Marketing in opposizione all’Interruption Marketing che da molti decenni imperversa sui vecchi media.

Godin sostiene che oggi le aziende devono fare un passo indietro, non rinnegando il vecchio marketing “push” fatto col martello sui media tradizionali, ma sposando un nuovo modello “pull”. Dal martello alla calamita, dunque, entrando in punta di piedi nelle vite dei potenziali clienti.

Ma quando si entra in casa d’altri, è buona educazione portare qualcosa, un piccolo omaggio, un mazzo di fiori o qualcosa da bere, ad esempio. Proprio quello che devono fare le aziende bussando alle porte degli utenti e “regalando” contenuti e informazioni interessanti, prima di proporre prodotti e servizi.

Godin sostiene, soprattutto, che si debba trasformare dei perfetti sconosciuti in amici e questi nuovi amici in clienti, piuttosto che sparare nel mucchio per tirar su pochi clienti anonimi da costosissime campagne pubblicitarie di vecchio stampo sui media tradizionali.

È questo il senso dell’Inbound Marketing e del Content Marketing: rivolgersi a precise nicchie di audience, all’interno delle quali attrarre un preciso target di potenziali clienti. Con questi instaurare un rapporto sui nostri canali, perché saranno loro stessi a venirci a cercare sui social media, sul sito, sulle nostre pagine web.

Le aziende che stanno facendo marketing in questo modo, hanno deposto già da tempo il “bazooka” dell’Outbound Marketing, con il quale sino ad allora avevano sparato a casaccio tra la gente, facendo centinaia di “morti” per colpire (forse) un solo bersaglio, spesso marginale. Al suo posto stanno imbracciando il “violino” dell’Inbound Marketing, con il quale suonano melodie personalizzate per audience selezionate e ricettive, che dimostrano di apprezzare la musica e gli esecutori, andandoli a cercare sui propri asset in rete.

enchantment-guy-kawasakiUn altro guru americano, Guy Kawasaki, sulla scorta della sua esperienza in Apple descrive nel suo “Enchantment: The Art of Changing Hearts, Minds, and Actions” quella “Art of Enchantment” che ha saputo “incantare” l’audience globale, partendo da un nuovo approccio al marketing e dagli influencer della rete, che sono i primi obiettivi di queste nuove forme di marketing.

Il termine “inbound Marketing” fu coniato nel 2005 da Brian Halligan, imprenditore americano, CEO e co-founder di HubSpot. Per Halligan questo modello ha grande efficacia soprattutto per le aziende che trattano articoli di elevato valore economico, che i potenziali acquirenti hanno bisogno di conoscere a fondo, prima di acquistare.

Quella conoscenza approfondita non può più essere fornita esclusivamente dall’azienda produttrice, la cui credibilità non può più poggiare sull’autoreferenzialità e sulla comunicazione istituzionale, o sul marketing classico. Oggi i clienti si informano in rete, cercano pareri qualificati e terzi rispetto all’azienda, hanno bisogno di fonti attendibili e imparziali.

Cosa fa il Content Marketing

Ecco perché le aziende non possono fare a meno del Content Marketing e della creazione di un “ecosistema” che consenta loro di popolare la rete di informazione stratificata su più livelli, che parte dal cuore degli asset aziendali (siti, landing page, blog, canali sociali, etc.) per arrivare alla “periferia” degli utenti e delle loro recensioni e commenti passando per gli influencer e i blogger di settore, per le testate online, per i forum, per le community che trattano la materia d’interesse e le materie complementari e contigue.

Il modello dell’Inbound Marketing è abbastanza semplice e le sue fasi sono:

  1. Attrarre traffico e visitatori.
  2. Convertire le visite in lead.
  3. Convertire i lead in vendite.
  4. Fidelizzare e trasformare i clienti occasionali in clienti abituali, disposti a spendere di più.
  5. Monitorare, analizzare, correggere, migliorare.

Ma la pratica non è affatto semplice e si svolge su più livelli, partendo dall’audience per arrivare al target.  Aziende come la Ferrari sono un esempio di grande aiuto per comprendere la differenza profonda e al tempo stesso la correlazione strettissima tra audience e target. La Ferrari ha un’audience smisurata e un target microscopico, se ci riferiamo al suo core business.

Tutti tifiamo Ferrari e vorremmo averne una, ma solo pochissimi possono metterla in garage e mantenerla. Se Ferrari puntasse esclusivamente al target, la sua pubblicità avrebbe pochissimi margini e spazi di azione, su testate legate al lusso e destinate a potenziali clienti alto spendenti.

ferrari-storeMa la Ferrari ha nel suo DNA un palcoscenico di massa incredibile, come quello della Formula 1, dalla quale nasce e nella quale continua da sempre a investire massicciamente. Per tenere alto il valore del brand e della sua leggenda, ovviamente, ma anche per mantenere viva quell’audience spropositata che le garantisce lo status di brand più amato e desiderato al mondo.

Una delle molle più potenti, quando si parla di propensione all’acquisto, è appunto il desiderio, generato in parte dalla necessità e in parte dall’emulazione degli altri, dallo status symbol che gli oggetti rappresentano, dalla voglia di distinguersi dalla massa attraverso prodotti esclusivi e fortemente customizzati. Non a caso la mass customization (guardate ad esempio le nuove collezioni della Lancia Ypsilon Elefantino), sta diventando una delle sfide più importanti per le aziende globali.

Un caso estremo, quello della Ferrari, ma le aziende dovrebbero concentrarsi sulle sue dinamiche e sulla necessità sempre più impellente di riferirsi a un’audience, prima ancora che a un target di potenziali clienti, che da quella audience emergeranno e che grazie a quella audience continueranno a considerare i prodotti dell’azienda degni di rispetto e di considerazione.

Aumentare l’audience è una delle priorità del Content Marketing, che va alla ricerca di prospect attraverso un percorso informativo strutturato, che costruisce consapevolezza e aumenta l’interesse verso il brand e i suoi prodotti nel tempo.

Non si cercano (soltanto) clienti pronti ad acquistare i nostri prodotti, dunque, ma soprattutto utenti che non hanno alcuna conoscenza del prodotto e che non hanno ancora manifestato l’intenzione di acquistare. È a questa categoria di utenti che l’azienda deve continuare a offrire informazioni, a creare consapevolezza, a generare interesse e ammirazione.

Aziende come la Ferrari, che negli anni è passata dalla dimensione quasi familiare degli esordi a quella di un’azienda globale, o come la Apple, che tale aspirazione e caratura l’ha evidenziata sin dalla fondazione, prima ancora che sul target hanno saputo lavorare sull’audience, generando consapevolezza, interesse e desiderio.

Ferrari e Apple sono aziende di cui tutto il mondo parla; entrambe, sia pure con modalità diverse, hanno saputo creare anche prodotti destinati al mercato di massa, oltre che prodotti esclusivi. Il numero uno mondiale delle auto e il numero uno degli smartphone, entrambi destinati ad un target di alta fascia, hanno curato la propria audience con gadget o prodotti entry level che permettono a tutti di avere un pezzo di brand da esibire.

Una tendenza che oggi tutti i brand del lusso stanno in qualche misura praticando, perché nessun’azienda globale è in grado di restare in piedi senza una grande audience. Soltanto pochissimi brand storici in settori di estrema nicchia, come l’alta orologeria o l’alta gioielleria, possono oggi permettersi di far quasi coincidere target e audience.

Non soltanto le aziende globali hanno la necessità di aumentare la propria audience: paradossalmente, sono proprio le aziende più piccole ad avere più “fame di pubblico”, oltre che di clienti. Nessun’attività commerciale, sia anche a carattere locale, può oggi permettersi il lusso di contare solo sulla clientela di prossimità, sempre più distratta dalle ottime occasioni offerte dai centri commerciali e dalla grande distribuzione.

Che si tratti di un ristorante, di un bar o di un negozio di abbigliamento o di altro genere, che sia un artigiano o una piccola impresa, tutti hanno la necessità e l’obbligo di ampliare la consapevolezza e la visibilità, non solo a carattere locale. Cosa non semplice da mettere in pratica, perché le piccole aziende non hanno certamente le risorse e le competenze interne delle aziende a carattere globale.

Una carenza che non le relega allo status di spettatori, perché una buona strategia di Inbound Marketing, supportata ovviamente da una proposta commerciale competitiva e originale, può sopperire in modo sostenibile alle carenze di risorse e di organico di una piccola realtà.

In fondo l’Inbound Marketing non è nulla di troppo diverso da quello che da sempre i negozianti fanno nelle loro realtà: Attrarre. Ma per attrarre non basta più una bella vetrina, come accadeva fino a pochi anni fa. Oggi le vetrine sono gli asset di comunicazione delle aziende, i propri canali sociali, i propri blog. E prima ancora i propri prodotti e servizi, che debbono saper parlare dell’azienda, descriverla, raccontarne la vision, l’identità e la filosofia.

E quelle vetrine, non sono più vetrine statiche da guardare senza toccare, ma dinamiche, interattive, aperte alla relazione e al coinvolgimento del pubblico. Occorre saper raccontare la propria realtà, la propria storia, il proprio territorio, il proprio contesto sociale, i propri valori.

La propria unicità. Cosa certamente più difficile, ma ormai indispensabile. I nemici delle piccole aziende a carattere locale, le grandi aziende multinazionali, hanno vinto molte battaglie puntando sulla standardizzazione e sull’omologazione, sfruttando la globalizzazione come leva per guadagnarsi il favore delle masse.

Ma questa potentissima arma rappresenta anche un tallone di Achille da sfruttare, per le realtà più piccole e più agili. Per la grande distribuzione e per le grandi catene non è affatto semplice essere unici e originali. Loro vincono perché lavorano sui prezzi, sull’assortimento, sulla presenza diffusa sul territorio, su grandi budget pubblicitari. Ma i loro prodotti sono quasi sempre di livello medio-basso, fortemente omologati, non in grado di soddisfare altre esigenze che quelle di base.

Per tutto il resto debbono esserci le piccole aziende, che con la loro artigianalità e la loro libertà possono e debbono colmare un vuoto, che ormai è abissale, tra i prodotti di massa e quelli del lusso. E attraverso il Content Marketing debbono saper comunicare e dare valore a questa loro inclinazione naturale e a questo loro ruolo.

Ecco a cosa serve il Content Marketing: a trovare i propri clienti tra miliardi di persone in tutto il mondo che prima o poi passeranno davanti al nostro negozio o atterreranno sul nostro sito di e-commerce. Quando questo accadrà, se il lavoro fatto in rete sarà astato buono, essi acquisteranno senza esitazione e ci riconosceranno, sapranno chi siamo e perché debbono comprare da noi.

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