A dieci anni dalla sua creazione, nel 2004, Facebook è di gran lunga la piattaforma sociale con il maggior numero di utenti attivi in tutto il mondo, oltre un miliardo, contro gli 800 milioni scarsi di QQ (piattaforma di messaggi istantanei) e i 600 milioni di QZone, piattaforme cinesi della Tencent Holdings (dati del gennaio 2014, fonte We Are Social).
Molto distaccati (sotto quota 400 milioni di utenti attivi) seguono Whatsapp, Google+, Wechat, LinkedIn, Twitter e Tumblr. Questo dato mette in chiara evidenza come i servizi di messaggistica istantanea stiano crescendo in modo esponenziale, arrivando a rappresentare una vera alternativa ai social network per come li conosciamo. Quanto meno per le fasce di età adolescenziali, che ne fanno un grande utilizzo.
Facebook è inarrivabile, dal punto di vista dei numeri e, lo abbiamo più volte sottolineato, tra le piattaforme sociali di successo a carattere internazionale è di sicuro la sola, oltre alla cinese QZone e alla russa VKontakte, a poter essere definita un social network “duro e puro”.
Google+ e Twitter, infatti, hanno caratteristiche e target differenti, puntando la prima sull’informazione in tempo reale e l’altra sull’identità e sulla social search. Per questo fanno numeri così macroscopicamente inferiori e per questo non rappresentano dei veri fenomeni di massa come Facebook, né tanto meno dei competitor diretti.
Sono tanti, 1.200 milioni di utenti in tutto il mondo. Troppi, per non considerare Facebook un mass media a carattere globale. Si dice da più parti che oggi il solo vero mass media a carattere globale sia la rete e di certo Facebook ne è un degnissimo rappresentante, sia per un discorso meramente numerico, sia in relazione alle caratteristiche e agli scopi della piattaforma.
Cos’è Facebook
La prima cosa che viene in mente, pensando a Facebook, è la definizione: Social Network. È per questo che la piattaforma è nata, e la sua matrice originaria è “1 to 1”: “io amico, tu amico”; “io scrivo, tu leggi”. Amici, quindi persone, compagni di scuola, parenti, conoscenti di ogni genere e di ogni livello che attraverso questo canale scambiano pensieri, foto, video, etc.
Una dinamica semplice, che all’inizio non contemplava altro che questo e che solamente in seguito si è aperta al business e alla possibilità di creare pagine aziendali, oltre che profili e gruppi di persone. Oggi esistono dunque due tipologie di utenti: le persone, con i loro profili e “tutte le altre entità”, con le pagine.
Aziende, associazioni, gruppi musicali, organizzazioni di ogni genere, negozi, alberghi, esercizi commerciali, tutti i profili e le persone giuridiche possono interagire con il proprio target su Facebook grazie alle pagine, così come i personaggi pubblici, che attraverso la pagina possono aggirare il limite di cinquemila amici imposto ai profili Facebook.
Persone e pagine che possono interagire tra loro in modo differente e con alcune limitazioni, volte ad evitare che le pagine possano spammare contenuti verso i profili personali.
Facebook non nasce per diffondere massivamente contenuti, ma la sua matrice “1 to 1” lo rende uno strumento di interazione capillare, individuale, chirurgica. Con gli amici, se siamo degli utenti, con i “fan” o i “liker” o i “follower”, se siamo delle pagine.
Come funziona Facebook?
Non tutto quello che viene pubblicato dai nostri amici e dalle pagine che seguiamo, però, viene mostrato nel nostro news feed (introdotto nel 2006), ovvero la timeline sulla quale scorrono gli aggiornamenti dei soggetti con i quali interagiamo.
L’algoritmo originale che regolava il flusso del news feed, chiamato edge rank, è stato più volte perfezionato, per evitare di “affogarci” di contenuti ogni volta che accediamo a Facebook e restituirci invece solo quelli più rilevanti, in base ai nostri interessi e al modo in cui interagiamo sul canale.
Compito non semplice e che talvolta espone Facebook a critiche e lamentele da parte degli utenti e delle aziende, ma è del tutto inevitabile che il traffico di una città sovraffollata come quella di FB sia sorvegliata da un vigile severo, che ne regola il traffico in base a quattro parametri: Affinity, Weight, Time Decay, Post Type.
Affinity: l’affinità con chi scrive un post, ovvero il legame che abbiamo con lui, che ci permetterà di leggere tanti più contenuti quanto più tale legame è stretto. L’affinità è determinata essenzialmente da questi elementi:
- la lista in cui inseriamo il nostro amico;
- le interazioni abituali e l’attenzione che abbiamo verso ciò che pubblica;
- l’attivazione del tasto “segui”, che ci permette di indicare a FB che oltre ad essere amici vogliamo anche leggere tutto quello che il nostro amico pubblica;
- il parametro “Last Actor”, che attribuisce un peso alle 50 interazioni più recenti, così da privilegiare i contenuti che provengono dagli amici o dalle pagine con cui abbiamo interagito più di frequente negli ultimi tempi.
Weight: il peso che Facebook attribuisce a quello che pubblichiamo. Se qualcosa che scriviamo riceve tanti like, commenti, condivisioni, e non viene nascosto o segnalato come spam da molti utenti, il suo peso aumenta ed esso ha più probabilità di comparire nella timeline. Com’è facile intuire, questo è un parametro molto importante per le pagine aziendali, che per avere successo su FB debbono sforzarsi di perseguire la “viralità”, piuttosto che comprare migliaia di follower inutili.
Time Decay: questo parametro, presente nell’edge rank originale, gestisce la freschezza dei contenuti, lasciando vivi e visibili i post più vecchi (che gli utenti non online al momento della pubblicazione perderebbero), se essi continuano a ricevere interazioni. I tecnici di FB definiscono questa nuova declinazione del time decay “Story Bumping“, e permette di vedere il 70% dei post pubblicati contro il 57% dell’algoritmo originale, che si limitava a far decadere i post dopo un certo periodo di tempo, indipendentemente dalle interazioni che essi ricevevano.
Questa modifica all’edge rank, secondo FB, sta generando un aumento di like, commenti e condivisioni in misura del 5% (in relazione ai contenuti degli amici) e del 8% (per quelli delle pagine).
Post Type: Facebook non tratta allo stesso modo tutti i post che pubblichiamo. Attribuisce maggiore importanza ai post con foto, video e link contenenti metadati, piuttosto che a quelli di solo testo.
Cosa piace a Facebook?
Come avrete capito, non è importante solamente capire cosa piace ai nostri amici o agli utenti delle nostre pagine. Come nel caso delle pagine web sui motori di ricerca, anche su piattaforme come questa bisogna saper pubblicare in funzione delle dinamiche e delle logiche del canale, che per quanto possa essere progettato bene è pur sempre una “macchina”.
Bisogna comprenderne il funzionamento e le regole, prima di sentenziare, come troppi stanno facendo, che Facebook è una piattaforma sulla quale o paghi (per sponsorizzare i post), oppure soltanto una piccola percentuale di chi ti segue potrà vederli. O che ci vogliano centinaia di migliaia di “liker” per essere incisivi e per avere riscontro.
L’algoritmo di Facebook non è un poliziotto cattivo che ammanetta indistintamente tutti i post, ma un vigile attento che ne studia le caratteristiche e ne determina il potenziale, premiando i contenuti migliori, ovvero quelli che hanno più successo presso gli utenti nel breve e nel medio periodo.
Ogni volta che noi pubblichiamo un post, esso viene sottoposto al giudizio degli utenti e il suo successo dipenderà dalla loro reazione e dalle loro interazioni, rendendo “virali” i post che, appena pubblicati, avranno performato bene e avranno ricevuto delle interazioni.
Ma attenzione: questo non significa che Facebook sia disposto a premiare le catene e i meme, considerando virale e performante ciò che invece è soltanto spammoso. A tal fine, è importante che anche gli utenti collaborino, segnalando tutti quei contenuti che creano rumore e che arrecano fastidio, aiutando l’algoritmo a comprendere cosa funzioni davvero e cosa sia invece “dopato” da meccanismi deprecabili.
Cosa piace dunque a Facebook? Quello che funziona presso gli utenti: immagini, video e link in grado di “tirarsi dietro” contenuto (titolo del post, foto, descrizione). E agli utenti piacciono i nostri post se gli utenti hanno spontaneamente deciso di seguirci, perché se per correre dietro a metriche sterili ci siamo svenati per comprare like, quegli utenti non interagiranno con noi e non ci consentiranno di far girare i nostri contenuti e di valorizzarli.
Facebook è un valido strumento di marketing?
Quando ci si riferisce ad un media di massa come Facebook, la domanda se sia o meno uno strumento da considerare, all’interno di un piano di marketing, racchiude già in sé l’unica risposta possibile. Lo è ed è inevitabile investirci, ma ovviamente non ci si deve aspettare che questo canale faccia qualcosa che non è stato progettato per fare.
Su Facebook non si vende, quanto meno non in prima battuta. Su Facebook, e sui media sociali in generale, il ritorno dell’investimento è nelle relazioni e nel coinvolgimento degli utenti, nella creazione di una community che sappia essere un “movimento”, più che un semplice “branco” di fan. Non numeri, ma persone, teste pensanti che interagiscono con noi e con i nostri contenuti.
Quello che non dobbiamo chiedere a Facebook è di sostituirsi ai media “tradizionali” come canale di advertising puro. Per il resto, ad oggi questa piattaforma sociale è la sola su cui valga la pena di investire del budget per sponsorizzare post e attrarre utenti in target, secondo un grande quantitativo di parametri e in base ad una profilazione utente precisa e puntuale.
Facebook è il complemento ideale a un marketing mix che sappia dosare nel modo giusto tutte le tipologie di canale, sfruttando al meglio le potenzialità di ciascun media. Non fa miracoli, non è l’asso pigliatutto del marketing digitale, ma di certo non è un canale che può essere snobbato dalle aziende, che però debbono imparare ad utilizzarlo e a non considerare le metriche più di quanto valgono.
Il like non vale nulla, in termini economici. Quello che vale, e molto, è l’utente, se riusciamo a coinvolgerlo e a considerarlo parte del nostro processo di comunicazione e di marketing, se non addirittura dell’intero ciclo aziendale.
Il miracolo dei media sociali è questo: rendere gli utenti protagonisti, metterli al centro e farli sentire parte dei propri interessi e dei prodotti e servizi che essi acquistano. La moneta di scambio è dunque il dialogo, l’interazione, la considerazione, la fiducia che i clienti acquisiti e potenziali possono coltivare su Facebook interagendo con le aziende e con i brand.
“I mercati sono conversazioni”, si legge nel “Cluetrain Manifesto” di Rick Levine, Christopher Locke, Doc Searls e David Weinberger, che nel 1999, all’alba del web 2.0, avevano già saputo cogliere la portata e il senso del grande cambiamento che stava avvenendo.
Gli autori del Manifesto sostengono che Internet differisce profondamente dai media tradizionali usati per il marketing di massa, poiché consente agli utenti di intrecciare conversazioni di tipo “uomo a uomo”. Questo significa che le aziende in rete diventano esse stesse delle persone, cosa che altera radicalmente le pratiche commerciali tradizionali.
Ecco il punto. Da Facebook e dagli altri canali sociali non ci si deve aspettare lo stesso ritorno dei canali tradizionali e, soprattutto, non si deve ritenere che essi non richiedano investimenti e programmazione. Sono troppe le aziende che ritengono di poter “giocare” sui social media, anziché portare avanti una pianificazione e una programmazione seria, senza la quale non si può pretendere nessun risultato.