Socialwars: la calda estate guerrigliera della rete italiana
In questi caldi giorni di un’estate che secondo taluni potrebbe anche essere l’ultima (il 21/12/2012 è alle porte, per chi ci crede), la rete italiana sta registrando una vera e propria socialwar, “guerra sociale” a colpi di pseudo rivelazioni clamorose, attacchi personali e piccole vendette consumate freddissime, forse per mitigare la calura.
La “guerra”, in continua ed inarrestabile escalation, è stata innescata attraverso i media tradizionali, che si sono tuffati avidamente sugli studi del Prof. Marco Camisani Calzolari, prima sulla compravendita di fan e follower, poi sull’analisi dell’account Twitter di Beppe Grillo e di altre figure di spicco, scatenando una reazione molto forte tra gli “addetti ai lavori” della rete.
Risultato? Il vaso di pandora del web sociale italiano si è scoperchiato, le forze oscure che sembravano assopite si sono scatenate e adesso stiamo assistendo ad una sorta di “guerra per clan”, in cui sembrerebbero opposte molte differenti fazioni con un possibile denominatore comune, che sembrerebbe poter essere riassunto in “nuove leve” contro “vecchia scuola”, tanto per semplificare. Ma chi è il lato oscuro?
E qual’è la posta in palio? Il mercato, ovviamente, le aziende italiane che ormai non possono fare a meno di considerare nella propria strategia di marketing il web e i suoi canali e che quindi cercano consulenti, partner e fornitori. Una posta molto alta, per brama della quale questo 2012 sembra caratterizzarsi come l’anno del tutti contro tutti, dopo un 2011 di buoni propositi e di aggregazione tra professionisti in gruppi e consessi di varia natura. Dal crowdsourcing alla total war, in un paese in cui, evidentemente, i media tradizionali hanno troppo spesso e con scarsissima competenza ciurlato nel manico di startup, influencer, social media e poco altro.
Accade in rete come nella “vita reale”, direte voi, ma sul web è parecchio diverso. Scripta manent, lo si sa da millenni, ma quel che è scritto in rete non soltanto resta, ma è anche pervasivo, universale, devastante. Di più, sul web funzionano piuttosto bene le “dinamiche positive”, mentre quelle negative generano solamente dei profondi buchi neri, pronti ad inghiottire tutto e tutti senza guardare in faccia nessuno.
Ecco perché sui social network esiste solo il Like (almeno per ora). Perché nel DNA della rete la disapprovazione e la denigrazione sono giustamente “palettate” e lasciate al libero arbitrio degli utenti, sotto forma di post e commenti. Il Like genera aggregazione, entusiasmo, collaborazione e circoli virtuosi; non è di per se una metrica fondante, ma è su questi valori che la rete sa offrire il meglio di se, diventando un vero e proprio collante sociale e generando piccoli capolavori, spesso di facile replicabilità.
Nel DNA del web c’è dunque una buona dose di ipocrisia? Può darsi, ma è cosa certa che farsi la guerra in rete fa solo morti, né prigionieri né feriti, ma solo una spirale che tutto risucchia e che non permette di distinguere il vero dal falso, la ragione dal torto, il fumo dall’arrosto, sempre ammesso che ce ne sia.
È lo stesso discorso che vale per i talk show politici, in cui l’inderogabile “contraddittorio” non è garanzia di nessuna libertà di opinione né tutela di alcuna forma di vera democrazia. È il muro contro muro, sistematico e senza via d’uscita, di volta in volta strumentalizzato da questa o da quella corrente politica, con la complicità più o meno palese dell’anchorman di turno, che genera soltanto fango e rancore, incapace di raggiungere altre improbabili finalità.
Cosa ne penso dunque di questa guerriglia? Il peggio che se ne possa pensare. Come per il caso specifico degli “influencer”, di cui ho ampiamente dibattuto anche su questo sito, sono assolutamente convinto che la rete sia il luogo della collaborazione, non il palcoscenico di improbabili scontri tra microscopici titani, troppo spesso mossi da convinzioni personali, individualismi e, spesso, anche da interessi personali. Questi interessi non otterranno altro che la fuga di quei troppi imprenditori indecisi sulla validità della rete, oltre che la definitiva frammentazione del panorama web nazionale.
Stamattina ho iniziato la giornata twittando “leggo cose in giro e penso che molti dovrebbero prendersi parecchi mesi di ferie, completamente offline”; lo penso davvero. Credo che questo caldo mese di luglio stia portando parecchi professionisti del settore a tirarsi secchiate di sterco a vicenda, screditandosi l’un l’altro e autocandidandosi a massimi esperti del settore, qualunque esso sia.
Bisogna ammetterlo, il web è un buon mezzo per accreditarsi e per mettere in mostra muscoli e skills, ma è ben difficile che l’ultimo dei cretini abbia dalla rete molto più credito di quello che non merita. Non altrettanto si può dire dei “vecchi media” che, più che altro per ignoranza in materia, talvolta tendono a mettere sul piedistallo presunti Guru e Influencer, che talvolta ne approfittano per ottenere visibilità personale, più che per fare cultura del web e informazione obiettiva. Intendiamoci, non mi riferisco a Camisani Calzolari, che si è limitato a diffondere una ricerca e ad esporre un punto di vista, ma a tutti quelli che in questo periodo stanno sfruttando la grossa onda per surfare in modo poco lineare e corretto.
Il web è giovane, sta crescendo in fretta ma rischia di prendere una bruttissima piega. L’immagine che ne sta emergendo è fatta di arroganza, presupponenza e, talvolta, addirittura di cialtroneria. Sono convinto che questo trend non durerà a lungo e che molto presto le “forze del male” saranno sconfitte dalla loro stessa presupponenza, ma nel frattempo occorre ripensare le modalità di interazione e il senso stesso della rete, in questo paese.
Esempi positivi ce ne sono a centinaia: quando la rete è utilizzata in senso positivo si ottengono degli ottimi risultati, molto al di sopra di qualsiasi aspettativa. La rete è il luogo della collaborazione e della condivisione, non dello scontro e men che meno del muro contro muro tra professionisti, aziende e consulenti. Rimettere insieme questo puzzle è molto più che un buon passatempo per l’estate. È una vera e propria mission che la rete italiana deve darsi, se non vuole continuare a vaneggiare per anni di startup, innovazione, “chissaddove” valley e altre varie amenità con le quali da anni ci si parla addosso. È tempo di affrontare il mercato per quello che è, per farlo occorre competenza, non supponenza e aggressività.