L’Internet of Things (IoT) secondo alcuni è ormai una realtà, anzi: una bella realtà. Tra i suoi fautori vi è senza dubbio Andy Hobsbawm, imprenditore, scrittore, uno dei top 100 digital influencer secondo la classifica di Wired, fondatore e CMO (Chief Marketing Officer) della piattaforma Evrythng (“Make products smart”): uno che di Internet Of Things se ne intende.
Andy Hobsbawm è stato intervistato da Graham Charlton (Editor in Chief di Econsultancy), con il quale ha fatto una conversazione a tutto tondo dal tono appassionato e profetico. Vi propongo una sintesi di questa ricca conversazione.
Lo scenario attuale
Partiamo con una affermazione di Hobsbawm: la Internet of Things (IoT) è diventata una realtà.
Hobsbawm poi prosegue così dicendo:
Un recente rapporto dell’Economist Intelligence Unit sostiene che l’IoT è il top trend che i senior marketer in tutto il mondo ritengono avrà il maggior impatto sul marketing per il 2020 (seguito da un insieme di trend tecnologici intimamente correlati alla IoT, come le transazioni real-time personalizzate su mobile, la customer experience e i big data). Dubito ci sia un CTO e un CIO che non stia elaborando una sua strategia per la IoT dal punto di vista dell’infrastruttura tecnologica, sia nell’industria manifatturiera che in quella della distribuzione.
La gente sta iniziando a prendere sul serio le sfide poste dalla IoT. Basti pensare che un milione di dispositivi connessi che inviano un aggiornamento due volte al secondo creano l’equivalente di 333 volte il numero di tweet al secondo con cui Twitter ha a che fare. Poi considera che Cisco prevede che nel 2020 vi saranno 50 miliardi di questi dispositivi…
Vi sono anche dei risvolti rischiosi:
Il danno potenziale alle relazioni tra brand e cliente se le società commettono un errore sul versante tecnologico è enorme. Nessun brand vuole dover inviare delle scuse per “un’interruzione di servizio non pianificata”, chiedendo ai clienti di portare pazienza mentre il loro prodotto controllato dall’IoT torna online…
Nel 2011 avevamo previsto che con la diminuzione dei costi di connettività vi sarebbe stata una crescita drammatica nel numero di oggetti online che condividono informazioni in real-time, e questo è esattamente ciò che è accaduto. Tuttavia le nuove tecnologie per lo smart packaging stanno rapidamente mutando l’economia della connessione degli oggetti a internet. Questo significa che a un gran numero di prodotti per la casa non elettronici può essere fornita un’intelligenza web dinamica e sociale, tramite smart tag in combinazione con smart software e smartphone.
Hobsbawm passa poi a descrivere la piattaforma EVRYTHNG e la crescita vertiginosa che sta avendo la sua organizzazione (che sta operando con brand globali quali Diageo, Mondelez, Unilever and iHome, tra gli altri), e la partnership con società (quali Marvell) che producono chip elettronici, o ancora Avery Dennison e ThinFilm Electronics per le tecnologie di smart packaging, Trueffect per collegare i ‘First Product Data’ che arrivano dai dispositivi connessi e dai packaging tags ai dati generati dalla pubblicità, così che i marketer possano segmentare e “ritargettizzare” i consumatori web in tempo reale.
Tutto ciò comporta problemi di privacy e sicurezza: la mancanza di fiducia nella sicurezza e nella privacy della IoT è senza dubbio il maggior ostacolo a un diffuso utilizzo da parte dei consumatori.
La IoT implica un intreccio complesso di persone, dispositivi, connessioni, reti e sistemi, così come diversi luoghi dove i dati sono immagazzinati o trasportati. Pertanto è essenziale che ogni parte del sistema possa accedere, gestire o condividere solo i dati per i quali è autorizzata.
Questo richiede dei controlli e delle politiche di sicurezza e di privacy a più livelli costruiti all’interno dell’architettura della piattaforma.
I migliori usi della tecnologia IoT secondo Hobsbawm
Vediamo grosso modo tre tipologie di utilizzo:
1. la trasformazione dei prodotti in media interattivi, guidati dai dati.
Una volta attivati in modo digitale, i prodotti divengono una piattaforma per contenuti, esperienze e relazioni digitali con i consumatori. Per esempio, scannerizzando i prodotti per accedere a informazioni che ti aiutano a trarre il massimo dal loro utilizzo, come suggerimenti e guide d’uso, o ricette nel caso di cibi, e via dicendo.
Una nuova generazione di società sta conquistando una posizione di leadership in questo modo, digitalizzando prodotti per acquisire e gestire relazioni con il cliente del tipo 1:2:1.
2. il concetto di “prodotto-come-servizio”.
I prodotti fisici che hanno uno strato digitale di servizi personalizzati interattivi possono parlare direttamente con i consumatori e di ritorno con il brand, personalizzando le preferenze e auto-migliorandosi nel corso del tempo man mano che vengono aggiunti nuovi servizi digitali. È più difficile lasciare i prodotti smart, e si possono generare maggiori ricavi dai servizi rispetto all’acquisto originale.
3. Il concetto di “prodotti connessi all’ecosistema”.
Questo si verifica quando un prodotto usa la connettività digitale per muovere da una condizione di isolamento agli ecosistemi, creando nuovo valore combinandosi con prodotti partner, app, e servizi di dati.
Più il tuo prodotto genera connettività eco-sistemiche, più valore crea.
Pensate a connettere un account premium Spotify a delle playlist senza soluzione di continuità nella vostra prossima corsa con Uber.
Il ruolo del customer service
Quando i brand comprendono in quale modo un prodotto è effettivamente usato, possono fornire una miglior esperienza usando il prodotto come un’interfaccia per il supporto data-driven.
I difetti del prodotto possono essere individuati, e persino corretti, prima che il cliente li rilevi e i miglioramenti di prodotto possono essere rilasciati automaticamente.
Famoso il caso di Tesla che ha aggiornato 29.000 auto Modello S per risolvere un problema relativo alle fluttuazioni della potenza elettrica – il prodotto di fatto si è auto-diagnosticato il problema e lo ha risolto.
Inoltre, l’elaborazione di un evento complesso e il software per lo streaming analytics possono individuare delle povere user experience, consentendo ai brand di offrire un sevizio clienti proattivo. Per esempio, un cliente che preme per 5 volte di seguito il pulsante “start” di un nuovo dispositivo sta segnalando che sta riscontrando problemi nel mettere in moto: gli si potrebbe offrire un supporto tramite chat in tempo reale o un video tutoriale tramite dispositivo mobile, o uno schermo sul prodotto stesso in alcuni casi.
In uno scenario più semplice, lo spazzolino da denti connesso Oral-B PRO 7000 già ora dice agli utenti quando devono cambiare la testina, e fanno loro sapere quanto efficacemente si stanno spazzolando i denti.
I marketer e i brand stanno usando l’IoT in modo efficace o dovrebbero fare di meglio?
Le persone si aspettano che i brand giochino un ruolo utile, rilevante e denso di significato nelle loro vite, e i media che consumano sono sempre più mobile, social e potenziati da dati in tempo reale.
A dispetto di questo, molti marketer sono ancora inadempienti: distribuiscono messaggi pubblicitari con una sequenza regolare di campagne, invece di fornire servizi congruenti “on demand” ed esperienze personalizzate per ciascun singolo utente.
I brand devono assumere un approccio totalmente connesso nel loro business, in modo tale che la connettività “always on” divenga parte della cultura aziendale.
Quali esempi si possono portare del tipo di dati che l’IoT fornisce e di come potrebbe essere utile ai marketer?
L’IoT consente ai brand di raccogliere dati permission-based in tempo reale su come, quando e dove i consumatori usano i loro prodotti.
Possono tracciare l’identità di un prodotto, il luogo e l’uso dalla fabbrica, alla strada, al salotto di casa, e retroagire sino ai materiali che lo compongono.
Le informazioni di fabbricazione dalla prospettiva della catena di fornitura e distribuzione (quando e dove un articolo è stato fatto, il colore, la dimensione, il modello, dove è distribuito, ecc.) possono essere combinate con i dati che provengono dal POS rivenditore (quando e dove è venduto, da chi, a che prezzo, a chi, con quali altri prodotti).
I dati d’uso del consumatore per, diciamo, un prodotto indossabile potrebbero tracciare distanze e luoghi percorsi, dirci con quale velocità, e connettere i dati ad altri dispositivi indossabili che ci misurano le pulsazioni cardiache, il BMI ecc.Questo consente ai brand o alle società terze di offrire servizi su misura usando tutti o alcuni dei dati di cui sopra: proprietario del prodotto, profilo e abitudini, attività di fitness, di salute, destinazioni durante le vacanze, occasioni in cui lo indossa e quando lo dismette. Tutti gli attori del processo possono contribuire alla creazione di dati attorno all’articolo, e ognuno (incluso l’utente finale) ne può beneficiare.
Quali sono le opportunità future per il digital marketing e l’IoT?
Ci stiamo spostando verso la “terza era del marketing”, uno slittamento dalla voce del brand guidata dai media, alla voce del consumatore alimentata dai social media, alla voce del prodotto abilitata dalla IoT.
Qui è dove il prodotto stesso – inteso come oggetto dinamico, intelligente e connesso al web – gioca una parte attiva, funzionale, nella produzione, nella vendita e nell’uso da parte del consumatore finale.
I dati di prodotto rispondono al brand con analytics in tempo reale, facendo sapere chi sono i suoi clienti, dove sono, su cosa si impegnano, come l’interazione influenza le vendite.
La cresciuta disponibilità di componenti elettronici nel packaging, combinata con software cloud real-time, consentirà a innumerevoli prodotti non elettronici di diventare interattivi e tracciabili – ampliando in modo significativo la portata dell’IoT.Man mano che sempre più prodotti divengono media interattivi, interfacce di servizio, e sono totalmente connessi all’ecosistema di altre app di prodotto e di servizi nelle vite digitali della gente, i marketer saranno in grado di usarli per avvicinarsi ai clienti, per fornire esperienze altamente personalizzate e costruire relazioni tra consumatore e prodotto di più lunga durata, come mai prima d’ora.
L’intervista originale si può leggere per esteso sul blog di Econsultancy