Ancora qualche considerazione sul ruolo e sul senso dei social media, che negli anni sono passati da un trend prevalentemente di svago e di interesse generale ad un vero e proprio strumento di marketing, fondamentale per le imprese sia sotto il profilo B2C che da quello B2B. Tanto che oggi sono ormai moltissimi i brand che spendono il loro nome e la loro immagine su Facebook, Twitter, Foursquare, Linkedin, etc., compresa la new entry Google Plus, che invece tenta in ogni modo di arginare la sbarco apocalittico delle aziende sulla sua piattaforma, in attesa delle attesissime Pagine Business, che da Mountain View giurano essere di prossima implementazione.
Non molte aziende, però, sono riuscite nel tempo a costruire sui social grandi comunità di fan e di sostenitori, pochissime sono state capaci di convertirli in contatti e, conseguentemente, di sfruttare nel modo corretto le potenzialità rappresentate da queste utenze. Per i più la presenza sui social continua ad essere soltanto “una delle tante”, non la più qualificata, non la più delicata da gestire, come invece è, non quella più prospettica. Una presenza inevitabile, perché gli altri ci sono e perché (solo apparentemente) non costa nulla.
A farla da padrone, tra i tanti canali in continua e inarrestabile crescita, ad oggi solo Facebook emerge su tutti, con numeri sconvolgenti: a giugno 2011, Facebook ha superato quota 687 milioni di utenti registrati, la metà dei quali mediamente attiva sul sito; essi trascorrono 700 miliardi minuti al mese sul sito (fonte Facebook, statistiche giugno 2011). La combinazione di enorme quantità di utenti con tempi di connessione prolungati, rappresenta un’enorme opportunità per il marketing delle aziende.
I social media sono un potente strumento di marketing, perché offrono l’opportunità di raggiungere un pubblico estremamente vasto ed eterogeneo e consentono di avviare strategie di comunicazione significativamente più mirate e contestualizzate, rispetto a quelle dei mass media tradizionali (televisione, giornali, cartellonistica, etc.). A seguito di strategie di marketing virale sui social media, numerosi brand sono riusciti a creare consistenti comunità attorno a loro. Fino ad oggi, la maggior parte dei loro sforzi si è però concentrata soltanto sulla “moderazione”, ascoltando commenti e opinioni espresse dai consumatori, e sulla veicolazione di messaggi pubblicitari di massa per fan e sostenitori.
Purtroppo, però, solo pochi tentativi di coinvolgere i fan in un reale rapporto commerciale hanno dimostrato un successo duraturo. Il punto debole di queste strategie è rappresentato dal tentativo di applicare collaudate tecniche di marketing diretto ai canali social, con la speranza (quasi sempre vana) di riuscire a convertire migliaia di anonimi fan in altrettante vendite. La chiave del successo sui social, invece, risiede nella capacità di adattare il proprio modello di marketing ai valori fondamentali e alle regole dei social media: trasparenza, fiducia, rilevanza.
Come si fa, dunque, a trasformare una massa informe di fan, follower, liker o subscriber in clienti? Le strategie sono molteplici, non sempre adatte a tutti i target e a tutti i modelli di business ma tuttavia sempre opportunamente tarate sul mezzo. Ad esempio è possibile:
– adattare alcune strategie tradizionali di direct marketing (es. giochi, concorsi, quiz, etc.), raccogliendo le mail degli utenti, oppure pareri su un prodotto o servizio in cambio della loro partecipazione;
– utilizzare le API messe a disposizione dalle piattaforme per il recupero di informazioni da parte dei consumatori.
Nel caso di Twitter, invece, è possibile dedurre importanti informazioni sui propri follower in funzione dei loro tweet e re-tweet. Ma per fare questo occorre ascoltare, dialogare, interagire, non limitarsi a spammare comunicati stampa o veline pubblicitarie.
I dati così acquisiti consentono di tracciare un profilo utente molto più preciso, in grado di garantire l’opportunità di contestualizzare messaggi promozionali e offerte, oltre che di agevolare un dialogo più interattivo, diretto e proficuo su tutti i canali di comunicazione. In poche parole, trasformare informi masse di anonimi fan in preziosi serbatoi di relazioni proficue e in grado di generare business.
Ma perché il marketing tradizionale non funziona sui social? Perché il classico messaggio “compra il nostro prodotto perché è il migliore” non genera conversione ma, al contrario, rappresenta una concreata minaccia di perdita di audience? Semplice, perché i social media basano il loro successo sulla interazione, condivisione e partecipazione degli utenti nel processo di produzione dei contenuti e delle informazioni. La gente approda ai social per ribadire con forza la propria autonomia intellettuale, la propria capacità di scelta e di giudizio, i propri gusti e le proprie passioni.
In ciascuno di questi “cluster” c’è spazio di azione per il marketing delle aziende, ma in forme e modalità quasi sempre opposte e antipodiche rispetto ai paradigmi convenzionali. Il primo comandamento impone senza dubbio un atteggiamento molto più passivo rispetto a quello cui le aziende si sono negli anni abituate, invadendo ogni spazio delle nostre vite con messaggi pubblicitari di ogni genere. Sui social media tutto questo non funziona e non ha alcun senso, in favore di approcci molto più leggeri e “sfumati”.
Presidiare i social media, significa per un’azienda mettersi a nudo e aprirsi al sentiment degli utenti, con la massima trasparenza, umiltà e disponibilità. Non c’è spazio per l’arroganza e per la presunzione, quandanche motivata da solidissime basi statistiche. I numeri uno sui social rischiano drammatici tracolli, non soltanto in virtù di eventuali azioni di disturbo da parte dei competitor ed è per questo che le grandi aziende stanno ricevendo più schiaffi che carezze, in questi contesti.
Per far bene in questo nuovo mondo occorre strategia, disponibilità a sperimentare nuove dinamiche e modelli, budget (sembra incredibile leggere questo termine associato ai social media, ma purtroppo è assolutamente inevitabile) e convinzione, ma soprattutto la capacità di rimettersi in gioco e di scrollarsi di dosso anni di percezioni basate esclusivamente sui numeri e sui volumi d’affari, metriche non del tutto compatibili con il mezzo e con le sue finalità.
Fonte: http://www.customerthink.com/article/new_social_marketing_paradigm