In termini di ottimizzazione delle conversioni, l’User eXperience Design ricopre un ruolo importante all’interno del processo. Ma cosa intende un UX Designer per Conversion Optimization e come viene inserita all’interno del contesto organizzativo? Secondo Jeff Gothelf, autore di UX Lean:
“l’ottimizzazione delle conversioni consiste nel trovare il giusto mix per veicolare al meglio value proposition, CTA e prezzo, al fine di persuadere il cliente a sviluppare un rapporto di fiducia con un brand.”
La Conversion Optimization chiaramente è un concetto più ampio rispetto a quanto espresso, ma è interessante capire come gli addetti ai lavori la percepiscono. Ad esempio, Suzan Olson, Principal at MDH Human Factors sostiene che:
“L’ottimizzazione delle conversioni segue un metodo scientifico per trasformare i visitatori in clienti. Efficaci strategie CRO trasformano una navigazione passiva esistente in un’esperienza personale interattiva che genera più lead, vendite e profitti.”
L’approccio scientifico è un punto importante all’interno del processo di ottimizzazione, in quanto sottolinea che l’attività di analisi e di testing si basano su dati reali e non su ipotesi soggettive e vacue. James Gurd, fondatore di Digital Juggler approfondisce questa tematica proponendo un approccio strutturato che migliora le metriche di business, in termini sia di micro che macro azioni. Si tratta di un approccio strutturato orientato a migliorare lo stato di avanzamento e di completamento del customer journey, indipendentemente dall’obiettivo finale. Una conversione può essere infatti financial based (ad esempio il completamento di un ordine) o soft target (ad esempio l’iscrizione a una newsletter). Può anche vertere su uno specifico evento, ad esempio quanto utenti hanno utilizzato le condivisioni social. Per ciò che concerne un contesto più generico, le macro conversioni devono essere allineate con gli obiettivi di business. Il canale digitale deve quindi supportare la visione di business. Rispetto invece alle micro conversioni è consigliabile ricondurle al contesto macro al fine di massimizzare i risultati.
Come si colloca la Conversion Optimization all’interno del processo organizzativo?
È interessante analizzare come il team CRO si relaziona e collabora con gli atri specialist: SEO, IT e, naturalmente, UX.
Qual è la differenza tra UX e CRO?
Prima di proseguire è importante definire la differente percezione nel raggiungimento degli obiettivi di UX e CRO. Nello specifico come i due ambiti differiscono nell’esecuzione arrivando però al medesimo traguardo. Entrambi utilizzano sperimentazione e ricerca per individuare aree di opportunità e convalidare progetti. Secondo Suzan Olson la UX applica principi di apprendimento, percezione e cognizione per analizzare il comportamento degli utenti e la motivazione del processo decisionale. Anche per la CRO questi principi psicologici sono assolutamente validi ma, oltre a questi, incorpora anche strategie di marketing persuasivo finalizzate a influenzare le esperienze degli utenti e il desiderio di attuare una conversione. Sia UX che CRO utilizzano un metodo scientifico basato su test iterativi. La differenza è che gli UX Designer attuano survey e test nelle prime fasi di progettazione, mentre i CRO Specialist analizzano e verificano dopo lo sviluppo iniziale. Interessate è anche la posizione di Braden Hoeppner rispetto ai diversi ruoli di UX e CRO.
“Un UX Designer sviluppa i visual progettuali (wireframe) al fine di costruire la miglior esperienza utente. Il punto di partenza sono generalmente i feedback ottenuti da survey per la realizzazione di una soluzione che risponda sia alle esigenze aziendali che del target. Un CRO Specialist valuta invece un particolare flusso di dati e propone una serie di ipotesi risolutive al fine di migliorare la percentuale di conversioni. Generalmente, per l’elaborazione dei test, lavorano insieme al team UX.”
Altra posizione interessante è quella di Per Axbom che definisce la Conversion Optimization un sottoinsieme della UX.
“Il concetto della user experience è molto ampio e si estende su tutto il processo, dalla ricerca alla strategia fino alle fasi di prototipazione e copywriting. Il denominatore comune di tutte le attività UX rappresenta il punto di partenza per la raccolta di dati rispetto al comportamento degli utenti. La Conversion Optimization in primo luogo è applicata all’impostazione degli indicatori di performance, in seconda battuta, come parte fondamentale alle decisioni di sviluppo e, infine, come componente essenziale alle attività di mantenimento e miglioramento continuo. Il punto non è quindi quanto UX e CRO si completino a vicenda ma nell’individuazione di un Project Manager che definisca quando e come le attività di ottimizzazione debbano intervenire.”
Tale definizione è assolutamente valida, anche se generalmente si considera la UX come una parte del processo di ottimizzazione delle conversioni. In particolare perché spesso molti esperti di CRO hanno un background in User Experience Design.
Nel grafico che segue è proposta una compenetrazione tra i due ambiti. Nello specifico si attribuisce all’UX una connotazione più teorica a fronte delle frequenti ricerche qualitative che vengono attuate prima della fase di progettazione. Per ciò che concerne la CRO, la lettura è più “applicativa” e si osserva un’attuazione delle euristiche condotte dagli esperti di UX finalizzate al concreto incremento delle conversioni.
UX e CRO si completano?
Anche se apparentemente possono sembrare distinte, UX e CRO in molti aspetti si sovrappongono, risultando complementari. Suzan Olson sostiene infatti che entrambi i campi sono orientati a ridurre l’incertezza del processo decisionale al fine di incrementare le conversioni e la credibilità del brand.
“Le grandi organizzazioni utilizzano i dati per orientare le strategie, al fine di ridurre incertezza e attriti per aumentare traffico e profitti. Tutte le attività volte alla raccolta dati, come ad esempio i test di usabilità, sono finalizzate al miglioramento dei risultati, ma solo attraverso la fase di testing è possibile confermare specifiche ipotesi.”
Inoltre, come accennato, una buona UX porta a un aumento delle conversioni. Questa posizione è ampiamente sostenuta da Jeff Gothelf.
“Una progettazione chiara, diretta e coinvolgente (a livello di contenuti, design, estetica, CTA) di un prodotto / servizio può portare a un miglioramento significativo nella conversione. Questo è per la maggiore il risultato delle attività UX, coadiuvate al fine di veicolare al meglio l’offerta del brand.”
Ma design e metriche non sono concettualmente opposti?
Analytics è il nemico del design, o almeno, molti lo credono. In realtà non è così in tutti i casi. Questo tema è stato oggetto di un interessante intervento di Jared Spool [custom_tooltip class=’bottom’ title=’1 ‘]Intervento completo di Jared Spool[/custom_tooltip] che sostiene come design e metriche non siano opposti. Non dovrebbero infatti esistere barriere che separano l’esperienza utente dalle analisi quantitative. Esiste quindi, secondo Spool, un’intersezione tra analisi ed esperienza dove ha luogo l’ottimizzazione delle conversioni, una sorta di UX quantificabile.
Tirare a indovinare non è la soluzione
Spesso si dimentica che il compromesso insito in un A/B Test è che nel 50% dei casi riconduce a una variante precedentemente scartata. Questo è uno dei rischi dell’indagine. La ricompensa però è racchiusa nel motivo per cui si conduce un test. Attraverso un’analisi strategica e coerente è possibile capire quali elementi portano alle conversioni e quali invece non sono performanti. Quando però si cerca di indovinare in modo casuale e non scientifico, si creano dei test che non portano ad alcun risultato e implicano uno spreco di tempo e risorse. Laura Klein, principal di Users Know & Author of UX for Lean Startups e autore di UX per lean startup, sostiene che sia fondamentale raccogliere attraverso i test di usabilità dati qualitativi indispensabili alla realizzazione di un A/B test e piuttosto che condurre analisi senza sapere cosa testare.
“Per ottimizzare le conversioni è necessario conoscere il motivo per cui gli utenti non portano a termine uno specifico compito. La soluzione più efficace per ottenere risposte è quella di parlare con i consumatori. Troppi esperti cercano solo grazie a un A/B test di trovare la strada migliore per la conversione. È importante quindi che i test siano alimentati da dati significativi, ottenuti grazie ai feedback degli utenti.”
Sia UX che CRO analizzano i dati per individuare aree di opportunità e formulare ipotesi.
“Senza sapere il perché, non è possibile prendere decisioni di buon design. Non serve fare più analisi ma metriche che ci aiutino a migliorare la UX. C’è uno strumento utile per fare questo: la journey map.”
Ci sono conflitti tra UX e CRO?
UX e CRO dovrebbero poter lavorare insieme. Ma è sempre così? Alcuni professionisti UX esprimono alcune incertezze circa potenziali conflitti. Uno dei più noti sostiene che la CRO tenda a concentrarsi su azioni a breve termine, mentre l’UX è orientato a realizzare una soddisfazione a lungo termine. Secondo Axbom questa lettura nasce dalla predilezione per il raggiungimento di obiettivi di business in breve termine piuttosto che concentrarsi sul realizzare una migliore esperienza utente, a lungo termine.
“Se un tasso di conversione aumenta in modo esponenziale, vuol dire che si tratta di un progetto di conversione di successo. Al contempo però si registra che il numero di utenti insoddisfatti aumenta, allora questo risulta un progetto UX insoddisfacente. Nel breve periodo le vendite aumenteranno, ma gli utenti potrebbero esser in procinto di modificare il proprio comportamento decisionale e questo potrebbe portare a un successivo improvviso calo di clienti. Il mio timore è duplice:
- I CRO Specialist non spendono abbastanza tempo per comprendere il comportamento degli utenti, basando quindi nuove ipotesi su dati non attendibili (o, talvolta, solo su una percezione). È necessario quindi investire più tempo per raggiungere soluzioni progettuali ottimali.
- L’attenzione sui tassi di conversione elevati porta a ignorare il motivo dell’acquisto, che potrebbe essere involontario – un esempio sono persone con disabilità cognitive che inavvertitamente firmano diversi abbonamenti dello stesso prodotto. A volte è sufficiente rimuovere i troppi attriti. “
Nel momento in cui i due team lavorano in modo complementare però si raggiungono traguardi ottimali. Pamela Pavliscak, fondatrice di Change Scienze, sostiene che l’equilibrio tra obiettivi a lungo termine a breve termine non è sempre l’ideale:
“I due tipi di obiettivi divergono quando la persuasione nel breve termine non è equilibrata con quella a lungo termine. Spesso il web design non si lascia guidare dalle emozioni ma le migliori esperienze sono supportate proprio dagli istinti irrazionali. Sono questi stati d’animo infatti che favoriscono il collegamento più significativo con i clienti.”
James Gurd, vede invece il conflitto come una questione organizzativa piuttosto che applicativa.
“Da un punto di vista scientifico non vi è conflitto, ma spesso c’è una disconnessione all’interno delle imprese tra i responsabili di CRO e quelli UX. Quindi il conflitto è in genere causato dalla mancanza di un processo coerente e integrato tra i team per la massimizzazione dei risultati.”
Conclusioni
Nonostante piccole differenze e conflitti, UX e CRO lavorano al fine di ottimizzare l’esperienza utente e fornire più valore sia per il cliente che per il business aziendale. Gli obiettivi quindi sono i medesimi anche se le percezioni non sono sempre allineate.